Il caso è certamente iniziato con le dimissioni dell’ex commissario, poi reggente regionale della CISL FP, Luca Talevi, il quale ha indicato come suo successore Marcello Romeggini, subentrato nell’incarico lo scorso 17 novembre, proponendo fin da subito una linea sindacale e una segreteria provvisoria che non sono state condivise dai rappresentanti sindacali e dagli iscritti del Comune di Terni, i quali esprimevano con una nota inviata alla Segreteria nazionale della CISL FP fortissime perplessità sulla adeguatezza della squadra, lamentando al tempo stesso una ben misera rappresentanza dell’area del ternano.
Gli iscritti della CISL FP del Comune di Terni avevano perfino chiesto con una petizione un
rappresentante nella segreteria provvisoria, organo che in poco più di un anno dovrebbe portare la sigla sindacale al congresso regionale che nominerà la prossima segreteria post commissariamento.
Perplessità analoghe a quelle pronunciate dai rappresentanti del Comune di Terni erano state riportate in sede di Consiglio Generale regionale anche dal rappresentante dell’AFOR, seppure in forma più mitigata.
Il consueto approccio accentratore e decisionista del capoluogo di regione si è riproposto anche in
questo particolare contesto sindacale, ma questa volta gli attori ternani non hanno piegato il capo, anzi, hanno rassegnato dimissioni irrevocabili dal sindacato CISL.
I dimissionari sono Agata Amitrano, RSU del Comune di Terni e membro del Consiglio Generale CISL FP Umbria e il sottoscritto Danilo Stentella, dirigente sindacale, membro del Consiglio Generale e del Comitato Esecutivo della CISL FP Umbria. Insieme alla collega Amitrano abbiamo provato in ogni modo a comporre le posizioni autocratiche del vecchio e nuovo reggente, evidenziando la necessità di rispettare il territorio di Terni e Orvieto, anche per la consistenza numerica degli iscritti, che secondo un calcolo ponderata sulla base dei lavoratori nel pubblico impiego avrebbero addirittura un peso maggiore della provincia di Perugia.
Alle motivazioni sopra riportate se ne aggiungono altre mie, particolarissime, di dissenso totale verso la linea del sindacato nei confronti delle politiche sanitarie, assolutamente inefficaci al fine di arrestare il processo di progressiva privatizzazione in corso da oltre un decennio. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata versata durante l’ultima riunione dell’esecutivo, tenutasi il giorno 15 dicembre scorso presso il Chocotel di Perugia (tra l’altro non si capisce perché la riunione di un gruppo così ristretto non si possa tenere presso la vicinissima sede regionale della CISL, risparmiando soldi degli iscritti), durante la quale un membro qualificato dell’esecutivo, anche perché dipendente ospedaliero, avventurandosi in un ragionamento sulla sanità regionale si è detto favorevole alla chiusura del reparto di chirurgia cardiologica presso l’ospedale di Terni, definendolo un atto dovuto in quanto si tratterebbe di un inutile doppione e spreco di denaro. Per inciso quel reparto è indispensabile anche per prossimità territoriale, perché, ad esempio, se avessimo dovuto trasportare a Perugia quell’uomo di poco più di 50 anni che nei giorni scorsi ha avuto una resezione dell’aorta addominale quell’uomo sarebbe morto.
In quella ultima, per noi, riunione, ho detto schiettamente ai miei colleghi e alla nuova segreteria che ci siamo ridotti come quei nativi americani dopo che i coloni sterminatori avevano rubato loro
tutte le terre e li avevano rinchiusi nelle riserve, ci riuniamo per discutere quante casse di whisky chiederemo con fermezza, sperando ogni giorno che non ci mandino coperte contaminate con il vaiolo, perché non esprimiamo da tantissimo tempo una proposta, ad esempio di ritorno a un sistema sanitario nazionale, ma ci arrovelliamo seguendo i vari governi nelle loro politiche di privatizzazione selvaggia, come avevamo fatto con le scellerate leggi sul precariato o sulla modifica in peius dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Pertanto, se questa è diventata la CISL, purtroppo, dopo venti anni di attività sindacale traiamo la conclusione che non abbiamo più nulla da condividere con questa sigla e che sarebbe inutile e un inutile spreco di denaro degli iscritti continuare nella nostra attività, che non può essere una mera presenza passiva o un atto di vassallaggio agli organi imposti dall’alto. Ci sono tante altre cose più utili da fare nella vita che fingere di fare sindacato.