In Umbria e nelle Marche non ci sono ancora state segnalazioni di casi di peste suina africana. Lo ha riferito il direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale, Vincenzo Caputo, sentito in audizione dalla seconda Commissione dell’Assemblea legislativa umbra, presieduta da Valerio Mancini.
La principale problematica – è stato spiegato – riguarda l’eventuale contagio dei cinghiali che renderebbe necessario l’abbattimento di tutti i capi presenti in Umbria (stimati in 70 mila) prima di poter affrontare la questione dei suini da allevamento, che andrebbero a loro volta soppressi. La presenza accertata della Peste suina africana in Umbria – è stato detto ancora, in base a quanto riferisce l’Assemblea legislativa – porterebbe al blocco dell’attività di trasformazione delle carni crude e dei salumi di cinghiali e maiali (che potranno essere consumate solo dalle comunità locali) ed anche la sospensione delle attività umane come trekking e caccia, per limitarne la diffusione. Il primo ingresso della Psa in Italia – è stato spiegato – risale al 1968.
L’uomo non si ammala ma può trasmetterla. Può invece colpire suini e cinghiali. La peste suina africana è stata diagnosticata in Italia il 6 gennaio – si legge ancora nella nota – e ci sono già le ordinanze dei ministeri per il blocco di tutte le attività che possono portare ad una diffusione della malattia (compreso anche il trekking, la caccia e le attività outdoor), che deve essere eradicata dai cinghiali (eliminando completamente tutti gli animali) e poi dai suini, visto che i primi sono molto più molto numerosi. Cacciatori e agricoltori sono stati coinvolti nella sorveglianza passiva.
L’Istituto zooprofilattico ha controllato 110 mila cinghiali negli ultimi cinque anni, 30 mila nel 2021. Sarebbe auspicabile – è stato evidenziato – che “la Regione Umbria emanasse un provvedimento per gestire le specie problematiche come il cinghiale, prevedendo una cabina di regia che coordini tutti gli interventi necessari ad affrontare questa situazione”.